Un autentico talento

Di Paul Rigg

Nata a New York, Mimi Fox è una chitarrista jazz di fama internazionale che ha suonato e inciso con Branford Marsalis, Diana Krall e Charlie Byrd, fra tanti altri. Alla fine degli anni 70 andò in California per prendere lezioni da Bruce Forman e Joe Pass. Da giovane prodigio che era, all’età di 11 anni dava già lezioni e successivamente insegnò al Berklee College of Music, alla New York University e al Conservatorio Jazz della California.    

 

Fox ha vinto per sei volte consecutive la ‘international critic’s polls’ della prestigiosa rivista Downbeat.
   

Guitars Exchange
ha parlato con lei durante una breve pausa del tour nordamericano che la vede in questo periodo impegnata per promuovere il nuovo album, che uscirà in questi giorni.
   

GUITARS EXCHANGE: Hai già pubblicato un abbondante numero di dischi e di colonne sonore originali. Qual è l’approccio del tuo prossimo disco?


MIMI FOX: Si intitola May I Introduce To You, ed è la celebrazione del Sgt Pepper’s dei Beatles. L’ho pianificato in modo da farne coincidere l’uscita con il 50º anniversario del loro album.
   

G.E.: È stata un’idea tua?


M.F.: Si, ma nella mia band tutti amano i Beatles. Sono stata in tour con un gruppo chiamato San Francisco String Trio, con Mads Tolling, uno splendido violinista danese e Jeff Denson, un gran bassista e cantante.
Il materiale dei Beatles è sulla stessa linea di quella dei classici compositori di canzoni come Gershwin, Cole Porter o Rodgers And Heart, da cui abbiamo acquisito quello che si chiama il Great American Songbook. Una canzone come Blackbird, per esempio, è un bel lento che non ha nulla da invidiare ai grandi standard del jazz. Abbiamo ripreso tutte le musiche del disco e le abbiamo riarrangiate per creare un nuovo punto di vista su melodie familiari e amate da tutti. Sono molto contenta del progetto.

G.E.: Come è iniziata la tua carriera musicale?


M.F.: Ho iniziato con la batteria quando avevo nove anni e l’anno dopo presi in mano la chitarra. Era tutto ciò che volessi fare: tornatvo a casa da scuola, facevo i compiti e iniziavo subito a suonare. Dopo cena, suonavo fino ad addormentarmi.    

G.E.: Che chitarra era?
Era una chitarra economica, con le corde di nylon, sai, di quelle che stanno a 500 metri dalla tastiera! Ma non m’importava, per me era come se si trattasse di una chitarra fatta a mano di 20.000 dollari.    

G.E.: È vero che da bambina hai imparato a suonare da sola ascoltando Rubber Soul?
   

M.F.: Sì è vero. Quando avevo dieci anni guardavo le persone suonare e cercavo di imitare cosa stessero facendo. Un giorno mio cugino mi disse “Devi ascoltare questo disco” e iniziai a suonare mentre lo ascoltavo. Quando tornò qualche mese dopo e gli feci vedere ciò che sapevo fare, disse a mia madre “non posso insegnare nient’altro a Mimi, perché suona già meglio di me”. Era evidente quanto ammassi lo strumento.

G.E.: Quando hai iniziato a dare lezioni?

M.F.: All’età di 11 anni conoscevo già così tante canzoni –non solo dei Beatles ma anche dei Beach Boys e un sacco di musica pop di quei tempi- che riuscii a guadagnare un po’ di soldi dando lezioni a teenagers e a gente molto più grande di me.    

G.E.: Qual è il tuo modello favorito di chitarra?
   

M.F.: Devo dirti che si tratta del nuovo modello signature che ha prodotto la Heritage sulla base di tutte le mie specificazioni. È una chitarra bellissima, si suona bene ed ha un suono fantastico. Ha la tastiera in ebano e un top in abete. Non mi piacciono le decorazioni quindi non ce ne sono. Ha due pick-up dorati della Duncan e anche l’hardware è dorato. È come la Heritage modello 575 con una finitura bellissima: è splendida, non potrei essere più contenta.  

   

G.E.: Quando ho letto informazioni sulla tua vita, ho guardato i tuoi tutoriali e ascoltato la tua musica, mi è sembrato che fossi alla costante ricerca di autenticità. È così?
   

M.F.: Ovviamente, se sei un musicista e un artista devoto al tuo mestiere, questo ti porta inevitabilmente in un viaggio musicale, intellettuale ed emozionale. È un processo molto profondo in cui sei sempre alla ricerca di autenticità, specialmente nel jazz dove sei immerso nell’improvvisazione. Stai sempre cercando di esprimere ciò che è vero. È un’intera vita dedicata allo studio e alla pratica della spontaneità, e in quella spontaneità speri sempre di essere autentica.    

G.E.: Hai detto: “preferisco il sentimento alla perfezione in ogni momento” e “quando salgo su un palco mi sento esposta e vulnerabile” – quanto è importante tutto ciò?
   

M.F.: Questa è una cosa di cui ho parlato con altri musicisti: la sensazione di terrore prima che la musica prenda il sopravvento. Preferisco tutto ciò a passare anni interi perfezionando la mia tecnica; quando sto suonando o registrando, voglio che la gente senta emozioni più che tecnica. Per quello m’interessa, prima di tutto, l’autenticità e poi creare una connessione emotiva con chi sta ascoltando.      

G.E.: Pensi di sfruttare di più questa emozione per il fatto di essere donna?
   

M.F.: Non saprei cosa dirti, è una domanda interessante. Credo sia qualcosa che dipenda dal musicista – ci sono un sacco di chitarristi uomini che suonano con un fuoco e una passione tremenda, quindi non credo che il sesso abbia nulla a che vedere con questa capacità-. Se esiste qualcosa del genere, forse è che come donna ti senti più scoraggiata a mostrare troppa emozione; anni fa ti avrebbero preso in giro ma credo che in generale un chitarrista sia un chitarrista ed è più una cosa che ha a che vedere con l’essere umano e il suo particolare insieme di valori. Quando suoni ti stai giocando l’anima e l’esperienza di vita, nessun genere ha il monopolio su questo.    

G.E.: Hai parlato di “heavy listening” sul palco – che cosa intendi?
   

M.F.: “Heavy listening” significa che mi deconcentrano tutti i rumori esterni. A volte i rumori sono nella mia testa; cerco veramente di concentrarmi su cosa sto suonando e su ciò che stanno suonando gli altri musicisti. Cerco di immergermi profondamente nella musica così da poter creare l’autenticità.    

G.E.: Hai suonato con Diana Krall; com’è nata la cosa?
   

M.F.: Il promotore aveva organizzato una doppia serata a San Francisco con lei e il mio Trio, così è come l’ho incontrata. È stata un’esperienza fantastica. Una delle cose più importanti di tanti anni di pratica è aver potuto suonare con un ampio spettro di musicisti incredibili e di tutti i generi possibili. È stata una cosa molto gratificante: mi sento molto fortunata.    

G.E.: Credo di aver capito che hai suonato anche con Stevie Wonder?
   

M.F.: Si, è una storia divertente. Il mio manager a quei tempi, che era anche un caro amico, mi chiamò e mi disse: “Mimi, ho un’offerta per una serata – so che non ti piace aprire i concerti di nessuno ma forse questa volta vorrai riconsiderarlo”.  Lo interruppi e gli dissi: “Ne abbiamo già discusso”, ma lui insistette: “Solo un minuto…posso almeno dirti di che si tratta?”.  Quando mi disse che si trattava di Stevie Wonder, gli dissi: “Oh mio Dio, perché non l’hai detto prima?” e mi rispose: “Mimi, ciò provato, ma non mi hai fatto dire una parola”.
Fu così che il mio Trio aprì un concerto per Stevie Wonder in un grande evento qui a San Francisco. Fu una grande opportunità per me incontrare Stevie: è stato uno dei miei eroi quando ho imparato a suonare. Ha influito molto su di me.    

G.E.: Esiste qualche musicista jazz, vivo o morto, con cui ti piacerebbe suonare?
   

M.F.: Sai, sono stata sufficientemente fortunata da aver suonato con molti dei musicisti jazz che realmente ammiro, ma mi piacerebbe suonare di più con Branford Marsalis: adoro lui e il gruppo con cui suona.    

G.E.: Per finire, mi piacerebbe domandarti come fai a gestire le serate, le registrazioni e l’attività didattica?
   

M.F.: Ora, dopo tanti anni da professore associato del California Jazz Conservatory, ho preso un periodo sabbatico. È vero che suonare al festival di chitarra jazz in Galles o suonare al Guinness Cork Festival in Irlanda per poi dover tornare negli Stati Uniti per una serata e magari per qualche lezione, iniziava a essere un po’ troppo pesante.  La cosa buona è che tutti i miei corsi sono ancora disponibili e la gente può acquistarli se lo desidera. Immagino che continuerò a incontrare studenti, occasionalmente, in una master class in giro da qualche parte. È una cosa che ho fatto con piacere per anni, ma adesso sono più concentrata sulle mie composizioni e sui concerti.  


L’intervista finisce con i ringraziamenti di Mimi Fox per il nostro interesse a lei e alla sua musica. Oltre a un incredibile talento, Mini Fox è una persona piena di grazia e calore umano. E non ci vuole più di un momento di contatto con lei, per chiunque, per capire che si tratta di una persona autentica.

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