Una resurrezione
Di Tom MacIntosh
La Tedeschi Trucks
Band è tornata con un nuovo album, il quarto in studio della loro carriera,
uscito lo scorso 15 febbraio con il titolo Signs
(Fantasy Records). Si tratta di una raccolta con alcuni dei loro materiali più
diversi, che va dal dal loro misto ormai classico dio blues, soul, rock, gospel
e ‘jam’ tradizionali, ma con arrangiamenti decisamente più sofisticati ma che
continuano a suonare grandi, potenti e commoventi. Il disco è stato prodotto
con brillantezza sonora dal co-fondatore della band e mago della chitarra Derek Trucks, gli ingegneri Jim Scott e Bobby Tis, registrato negli Swamp Raga Studios nella loro città
natale, Jacksonville, in Florida. La parte ‘Tedeschi’ altro non è che la moglie
di Trucks, Susan Tedeschi, chitarra
ritmica e voce solista del gruppo. La sezione dei fiati è formata da Kebbi Williams/sassofono, Ephraim Owens/tromba, Elizabeth Lea/trombone. Tyler
Greenwell e J.J. Johnson alla
batteria, Brandon Boone al basso, e come
vocalist e parolieri Alecia Chakour,
Mark Rivers e Mike Mattison, formano tutti insieme una delle band più emozionanti e 'sold-out' d'America; una banda di 12 notevoli componenti fissi e qualche altro mobile.
La band ha subito duri colpi personali negli ultimi anni, a
cominciare dalla morte del loro caro amico, il leggendario Gregg Allman, a quella del loro mentore, il Colonnello Bruce Hampton, che crollò sul palco e
morì di un infarto, e a cui hanno voluto dedicare l’album, oltre a quella dello
zio di Trucks, Bruce, morto suicida,
e poi, il giorno in cui è uscito l'album, si è aggiunto alla lista anche il
tastierista Kofi Burbridge, anche
lui vittima di un arresto cardiaco.
Eppure, nonostante tutto il dolore e la tristezza, sono rimasti
uniti e hanno messo insieme questo gioiello di album intitolato Signs, che certamente sembra guardare
nella giusta direzione.
Il disco si apre con Signs,
High Times, un blues commovente in cui tutti i cantanti cantano nell’introduzione
del Wurlitzer di Burbridge, sorretta dalla sezione dai fiati e dai delicati
tocchi di chitarra di Trucks; come la maggior parte delle band americane in
questi giorni, anche la TTB si
avventura in campo politico qui, incoraggiando le persone a muovere il culo e a
fare qualcosa visto come vanno le cose, (pensando al Brexit, Trump, ecc.),
perché la passività è complicità. Il secondo brano, I'm Gonna Be There, è un gospel che parla di devozione amorevole,
splendidamente cantato dalla Tedeschi, supportata da un leggero tocco orchestrale
e dalla Gibson SG Standard di Trucks che suona dolcemente insieme al
chitarrista ospite Doyle Bramhall II.
Un altro grande ospite è il cantante e chitarrista Warren Haynes che co-scrive Walk
Through This Life con il bassista Tim
Lefebvre, che si unisce a loro nel ritornello.
Signs è la decisa resurrezione
del blues/country/rock che un tempo dominava le onde radio in tutto il paese,
ma soprattutto nel sud, insieme a band come gli Allman Brothers e Little
Feat, o Black Oak Arkansas. Qui danno
al genere musicale una nuova vita con passione incrollabile, che sembra essere
sempre stato il loro obiettivo.
Still Your Mind
contiene uno dei migliori assoli di Trucks dell'album con la sua Gibson Les Paul Standard del '58, che arriva dopo
un'apertura al piano tipo ballata, con la voce e il tocco di Tedeschi. Poi arriva il momento della ballata acustica Strengthen What Remains, un'ode alla
resistenza e alla lotta, che fanno sembrare dolce come uno zuccherino, grazie
al flauto che si sente suonare sopra. Shame,
dalla tematica ambientalista, mostra la loro capacità di far esplodere il pezzo
con i fiati e una melodia dura per poi rallentare il ritmo per dare un
messaggio ecologico e riflessivo, "Vergogna,
c'è del veleno nel pozzo / Vergogna, sai che non possiamo distruggere il
campana / Vergogna per te, vergogna per me per aver fatto vergognare tutti";
un sano promemoria per il pianeta Terra, ammantato da un'eccellente arrangiamento
dei fiati e delle sezioni ritmiche, la straordinaria voce di Tedeschi e lo
splendido lavoro della chitarra di Trucks di assoli ululanti che si trasformano
in un crescendo che si scioglie deliziosamente in una soffuso finale vocale e angelico.
Genio puro.
La canzone They Don’t
Shine vede questa volta la Tedeschi occupare il ruolo di chitarra solista con
la sua Fender Stratocaster del ’70 in un pezzo vivace che ricorda una giovane Bonnie Raitt, mentre si intravede
la fine con The Ending, un'elegia
dedicata al loro mentore, il Colonnello Bruce Hampton. Tedeschi ci mette il
cuore cantando "La porta si aprì e
lui l’attraversò / Qualcuno pensò che stesse solo fingendo / raccontando
storie, come fossero vere / Cadde sul palco con un sorriso sul volto / Senza
mai arrendersi / La fine". Roba potente.
Signs è il (buon)
segno che sono giunti a uno stadio di maturità riguardo alla vita e a tutto ciò
la circonda, rimanendo fedeli a ciò che sono e a cosa vogliono fare al
riguardo... E ciò che hanno fatto qui non è altro che darci il loro miglior
album in studio fino ad oggi.