Ti voglio bene anch'io

Di Paul Rigg

"Non solo affrontando senza paura il dolore, ma anche onorando l'umorismo sornione di Justin, la cruda vulnerabilità e l'agile scrittura delle canzoni, Steve Earle vede opportunamente il suo giovane Cowboy andare verso il tramonto". 

"Lo strazio è palpabile e non si può fare a meno di commuoversi sia per la confessione che per il candore. Infatti, la commozione non è casuale".
 

"Devastante, ma assolutamente bello".
  

Queste citazioni, da persone che hanno ascoltato JT di Steve Earle & The Dukes (4 gennaio 2021; New West Records), spiegano in qualche modo la desolazione che un padre deve provare nel perdere suo figlio. Mi sono subito ricordato di Tears in Heaven di Eric Clapton e di Skeleton Tree di Nick Cave, ma la perdita di Steve Earle è un po' diversa in quanto suo figlio era un cantautore di talento e rispettato a pieno titolo, come suo padre.
     

      

E come suo padre, anche Justin Townes Earle ha avuto le sue dipendenze e i suoi demoni, che alla fine, il 20 agosto 2020, lo hanno sopraffatto. 'JT', o 'Cowboy', come lo chiamava a volte suo padre, è morto per un'overdose di cocaina al fentanyl all'età di 38 anni, e per onorare la sua vita il cantante folk americano interpreta 10 canzoni del figlio e aggiunge una sua originale. "Era l'unico modo che conoscevo per dirgli addio", dice Steve Earle di questo album.
        

Infatti Earle non solo dà il suo addio, con parole sue, terapeutico per se stesso, ma il suo tributo sarà anche utile a molti che lo ascoltano. Le sue interpretazioni (piuttosto che ‘cover’) sono infatti universalmente ricche e intensamente commoventi. Inoltre, suo figlio ha lasciato una figlia di tre anni, Etta St. James Earle, e tutte le royalties dell'album andranno direttamente a lei. Ancora più importante, forse, è il fatto che quando succede qualcosa di devastante, praticamente tutti noi cerchiamo qualcosa di positivo a cui aggrapparci, non importa quanto piccolo sia, ed Earle ha fatto questo, e noi abbiamo le sue (loro) canzoni. 
      

      

L'album inizia con I Don't Care, dal disco d'esordio di Justin, Yuma. Earle porta un'atmosfera più country alla canzone e dà un nuovo tocco al testo di suo figlio: "Non so più dove sto andando, e non mi interessa", canta, e non è difficile indovinare da dove venga.
        

La maggior parte delle canzoni qui sono prese dall'album di Justin The Good Life, come Ain't Glad I'm Leaving, la seconda traccia di JT. Questa è seguita da una interpretazione più potente di Maria, dove è presente il pedal steel, e il suggerimento ironico che il cantante sta forse meglio senza di lei. Far Away In Another Town presenta un organo hammond, un mandolino e un violino, oltre a una nuova prospettiva lirica. They Killed John Henry è reinterpretata in stile bluegrass, ma per questo critico è forse la meno interessante del disco. Molto più forte è Turn Out My Lights, che inizia con una bella introduzione acustica, prima di sbocciare grazie alle abili mani dei The Dukes, che in questa incarnazione includono Eleanor Whitmore al fiddle, Ricky Ray Jackson al pedal steel, Chris Masterson alla chitarra, Jeff Hill al basso e Brad Pemberton alla batteria.
      

      

Lone Pine Hill
, Champagne Corolla e Harlem River Blues sono tutte rielaborazioni ispirate, con quest'ultima, che parla di annegare se stessi in acqua sporca, suonata in uno stile più sdolcinato, e opportunamente collocata verso la fine del disco.
        

Last Words
, l'unica canzone originale di Steve Earle, costituisce la perfetta conclusione dell'album. Come molti padri e figli, Steve Earle e Justin hanno avuto momenti di distanza, ma per fortuna alla fine hanno saputo riavvicinarsi, e questo album, e in particolare questa canzone, riflette questo aspetto. Steve sceglie un'acustica incalzante, forse la sua Martin M-21 signature, per cantare a proposito del momento in cui ha tenuto in braccio per la prima volta suo figlio appena nato, e delle sue difficoltà nell'essere in grado di proteggerlo mentre cresceva. Non posso pensare ad un modo migliore per finire questa recensione che condividere le ultime parole tra Steve e suo figlio, che sono anche le parole finali di questo straziante, ma in definitiva bellissimo, album: "L'ultima volta che abbiamo parlato era al telefono, e abbiamo riattaccato e ora te ne sei andato, l'ultima cosa che ho detto è stata ‘ti voglio bene’, le tue ultime parole per me sono state ‘ti voglio bene anch'io’".
     

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