Il 'Low' di Steven Wilson?

Di Paul Rigg

Quando David Bowie si allontanò temporaneamente dalle chitarre e pubblicò Low nel 1977, divise fortemente i fan e la critica, ma in seguito venne visto come un altro classico. Il sesto album di Steven Wilson, The Future Bites (29 gennaio 2021; Caroline), dominato dall'elettronica, potrebbe essere visto in modo simile.      

      

Co-prodotto da Wilson e David Kosten e affiancato dal batterista Michael Spearman, dal bassista Nick Beggs, dai tastieristi Adam Holzman e Richard Barbieri e dal DJ britannico David Kosten, The Future Bites è apparentemente un album di nove canzoni, ma la casa discografica di Wilson offre anche un CD aggiuntivo con 10 tracce extra, comprese sei canzoni inedite dalle sessioni di registrazione dell'album. Questa recensione, tuttavia, si occupa specificamente delle nove canzoni.
     

The Future Bites
rappresenta un altro radicale cambio di direzione per Wilson, sia in senso musicale che lirico. Per quanto riguarda il primo, si ispira al sintetizzatore, al pop e all'elettronica degli anni '80, il che potrebbe suonare freddo se non fosse per la sua consolidata abilità nel produrre melodie orecchiabili. In relazione ai testi, i suoi temi questa volta ruotano intorno all'identità, al consumismo e alla tecnologia, e nel comunicato stampa si legge che "smonta la nostra utopia del XXI° secolo, mentre permette anche momenti di crescita personale e di ottimismo".
      

      

E in un momento storico in cui i social media hanno pesantemente contribuito all'assalto di una delle principali democrazie del mondo, l'analisi di Wilson su "come il cervello umano si è evoluto nell'era di internet" potrebbe aver centrato lo spirito del tempo.
      

L'album si apre con l'introspettiva Unself, un preludio di un minuto con una strumentazione spartana che sfocia opportunamente nella sua nemesi nella traccia blueseggiante che segue, Self. Qui i vocalisti Bobbie Gordon, Wendy Harriot e Crystal Williams si combinano per aggiungere calore al testo e alla musica fredda e distante, che richiama fortemente il sound degli anni '80.
      

      

Questo è un mero antipasto per King Ghost, che è uno dei punti salienti dell'album. La canzone ci fa pensare che l'album si stia dirigendo verso il territorio di To the Bone ma, in modo nuovo, Wilson ci lancia una palla curva aprendo 12 Things I Forgot con una chitarra acustica delicatamente pizzicata su quella che sembra la sua Ovation Elite del 1988. Questo pezzo è un puro brano di alt-rock nostalgico che fortunatamente offre anche un po' di sollievo sotto forma di umorismo consapevole, come canta Wilson: "Mi siedo nell'angolo a lamentarmi, facendo capire che le cose erano migliori negli anni ottanta".
      

Il singolo Eminent Sleaze richiama la Disco con i suoi applausi e cori femminili, e - è stato suggerito - forse include il Fender Rhodes di Holzman. Personal Shopper è un'altra canzone di spicco, poppeggiante e in levare, che si occupa direttamente dell'ossessione della società nei confronti del consumo: "Continua a spendere, non scendere mai a compromessi", intona Wilson. Potrebbe risultare impossibile se non fosse per l'intervento comico (in senso buono) di Elton John che elenca una lista di prodotti di consumo che include scarpe da ginnastica firmate, gemelli di diamanti e ciglia finte... A questo critico ha ricordato Fitter Happier dei Radiohead o, andando ancora più indietro, What Do You Want From Life dei The Tubes. Comunque sia, è una canzone meravigliosa.
      

       

Follower
affronta il fenomeno dei social influencer ma, come loro, non ha molto altro da offrire; mentre l'album si chiude con la toccante Count of Unease, in cui Wilson canta in modo malinconico su un sottofondo melodico di pianoforte. Suona come una richiesta di aiuto in quella che potrebbe essere vista come la follia tecnologica che abbiamo scatenato su noi stessi, e rappresenta una fine triste ma appropriata per l'album.
     

The Future Bites
rappresenta un altro passo coraggioso per Wilson. Potrebbe sconvolgere e persino alienare alcuni fan ma, come Low di Bowie, potrebbe essere visto come un classico che cattura qualcosa di essenziale di questo momento di trasformazione nella storia. Il tempo lo dirà, ma nel frattempo possiamo goderci le melodie di Wilson e guardare positivamente verso i nuovi viaggi musicali che senza dubbio ci porterà in futuro. 
      

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