La sua opera Magna

Di Tom MacIntosh

Tubular Bells, l'affascinante capolavoro di Mike Oldfield, uscì 45 anni fa, il 25 maggio 1973, in grande anticipo sui tempi di allora e che si erge ancora come una monumentale opera di rock progressivo. In effetti, l'album avrebbe dovuto intitolarsi Opus 1, ma quel titolo poi fu riconsiderato.    

Fu inciso presso i Manor Studios di Shipton-on-Cherwell, Oxfordshire, un vecchio campo da squash trasformato in studio di registrazione da un giovane imprenditore di nome Richard Branson e dal suo partner Simon Draper, insieme al team di produzione musicale di Tom Newman e di Simon Heyworth. Oldfield aveva solo 19 anni ed era incredibilmente portato per diversi strumenti, tra cui pianoforte, clavicembalo, mellotron, chitarre e vari strumenti a percussione d’orchestra, una lista che sarebbe aumentata presto.
   

   

Era il 1973 e il rock progressivo era in piena fioritura con gruppi come i Jethro Tull (A Passion Play), Yes (Tales from a Topographic Ocean) e i Pink Floyd (Dark Side of the Moon), quindi sembrò abbastanza sorprendente che il giovane Mike Oldfield potesse avere un qualsiasi impatto sulla scena. Un anno prima era stato impegnato con dei suoi arrangiamenti e, non appena pronti, li portò a 15 o 20 case discografiche senza alcun risultato; nessuno era interessato a musica senza voce né testi. Aveva sentito che nell’Unione Sovietica stavano pagando musicisti per suonare musica dal vivo e fu quando stava cercando il numero all'ambasciata russa che Simon Draper lo chiamò per invitarlo a cena nella casa galleggiante di Branson a Londra. Portò le sue demo che furono accolte con entusiasmo e decisero di chiudersi per una settimana nei Manor Stidios e incidere tutto in vinile. Fu il primo album pubblicato dalla Virgin Records, il nuovo marchio di Branson, che fece irrompere la casa discografica con forza nel mondo della registrazione.
     

Descrivere quella musica è già una sfida sufficiente senza dissezionarla pezzo per pezzo. Basti dire che chiunque riconoscerebbe l’inizio al pianoforte che fu utilizzato come inizio del film, vincitore di un Oscar, The Exorcist. Secondo Newman, la musica non era altro che una serie d’idee, che in realtà non pretendevano essere il risultato finale. Spiegò così l'intensità della musica: "era romantica, era piena di dolore e rabbia...vidi l'intera gamma di emozioni umane in quel piccolo nastro dimostrativo". Oldfield chiese che gli fossero portati diversi strumenti durante le sessioni di registrazione: chitarre, tastiere e diversi tipi di percussioni. Vide che stavano portando via le campane tubolari dallo studio dopo una sessione di John Cale, quindi chiese se potessero portarle indietro e lasciarle in studio per farne uso nella sua registrazione.
   

   

Alla famosa linea di apertura con il pianoforte, si unirono l'organo e il glockenspiel, ripetendo diverse variazioni dell'inizio. Il tempo cambia da sereno a qualcosa di sinistro, poi più ottimistico e crudo, presentando una "conversazione" tra organi e lick di chitarra rock. Usò la sua Fender Telecaster blu del ‘66 per tutta la registrazione. Il primo lato, di 20 minuti, è pieno di cambi di tempo dai 4/4 ai 7/8 e si muove su alcuni riff di chitarra blues sulla linea dei bassi poliritmici fino alla fine. Vivian Stanshall, che interpreta il ruolo di M.C., presenta ogni strumento nella parte finale fino a quando suonano le campane tubolari angoscianti, che fecero nascere il titolo del disco nella mente di Oldfield.
   

   

Il personale presente nel disco comprende: John Field ai flauti, Lindsay Cooper al basso, Steve Broughton alla batteria, Mundy Ellis e Sally Oldfield ai cori, mentre la voce dei commenti di Master of Ceremoniese Sailor’s Hornpipe è di Vivian Stanshall. E, naturalmente, troviamo Oldfield al pianoforte, all’organo (Farfisa, Lowrey, Hammond), al glockenspiel, mandolino, basso, chitarra acustica, elettrica, fuzz, e spagnola, pianoforte honky tonk (un omaggio a sua nonna che lo suonava), oltre a varie percussioni, zufolo, campane tubolari, chitarre che suonano come cornamuse, coro e, ovviamente, fece anche da co-produttore.
   

   

Il secondo lato si fa notare con il frammento Caveman, l'unica parte dove si sente la batteria di Broughton, mentre la sequenza di grida che viene dopo, è dovuta al disagio di Oldfield per l’insistenza di Branson a fargli scrivere testi per l’album. "Vuoi testi? Ti darò dei testi!" gridò. Se ne andò, si scolò una bottiglia di whisky Jameson e gridò nel microfono per 10 minuti. Dopo, l'ingegnere accelerò la registrazione, riducendo il tono della voce, e creò ciò che nei titoli di coda s’intitola Piltdown Man. È certamente surreale e alcuni hanno pensato che fosse di pessimo gusto ma servì a sottolineare il tentativo pacifico ma esplosivo, rendendolo pericoloso ma affascinante.
   

   

Come si dice nel business, "è facile fare un disco, la parte difficile è venderla", ma Branson era nato per quello. Accordò far suonare la band per un concerto nella Queen Elizabeth Hall. Oldfield era contrario perché credeva che le centinaia di piste sovrapposte create in studio non potessero essere riprodotte dal vivo. Mentre andava allo spettacolo, in un attacco di panico, disse a Branson che non ce l’avrebbe fatta: Branson gli diede le chiavi della sua Bentley, Mike accettò l'offerta e il resto è storia.
   

Tubular Bells
vendette 2.630.000 copie nel Regno Unito e rimase in cima alle classifiche americane per mesi! Le vendite mondiali superarono i 16 milioni di copie e nel 1974 vinse un Grammy come migliore composizione musicale. L’iconica copertina dell'album è stata realizzata da Trevor Key che trovò l’ispirazione dopo aver visto come Oldfield ridusse le campane tubolari durante la registrazione. Da allora lo strumento è stato collegato a Oldfield e compare in tutti i successivi sequel di Tubular Bells.
   

Oldfield odiò diventare improvvisamente una superstar ma, dal punto di vista commerciale, il nuovo status l’aiutò molto fino a diventare uno dei musicisti e compositori più venerati di tutti i tempi.    

 

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