Un re della chitarra

Di Paul Rigg

L'americano Adrian Belew (23 dicembre 1949) è un chitarrista incredibilmente versatile la cui abilità alle sei corde mette spesso in ombra le sue doti eccezionali come polistrumentista, compositore e produttore. Tra i suoi numerosi successi, ha recentemente vinto un Oscar per il suo contributo musicale al film Pixar "Piper".  

Forse meglio conosciuto come co-leader e co-chitarrista dei King Crimson per trent'anni, Belew ha lavorato anche con Frank Zappa, David Bowie, Bian Eno, Talking Heads, Tom Tom Club, Paul Simon, Robert Fripp, Peter Gabriel, Jean Michel-Jarre, Stewart Copeland, Mike Oldfield, Peter Frampton e Nine Inch Nails.
 



Recentemente Belew ha lavorato con la sua band The Power Trio e si sta preparando per i suoi prossimi tour del 2018 con Gizmodrome e Celebrating David Bowie.
 

Guitars Exchange
ha incontrato Belew nella sua casa vicino Nashville, seguendo la sua routine mattutina di caffè e chitarra. Un suo amico ingegnere lo sta aiutando a ristrutturare i rig nel suo studio, il sole splende, e Belew è felice di parlare di chitarre, del potere dell'amore e di com’è iniziato il suo incredibile viaggio come musicista.
   

GE: Sappiamo che da ragazzo eri un batterista molto popolare con i "Cincinnati Beatles"; cosa ti ha fatto prendere una chitarra in mano?
 

AB: Avevo canzoni che sentivo nella mia testa. Le sognavo a occhi aperti e pensavo fossero abbastanza buone, ma non c'era modo di spiegarle a nessuno, essendo un batterista, perché non conoscevo nessun accordo. Poi a 16 anni ebbi la mononucleosi e mi dissero 'non potrai suonare con la tua Beatle band; dovrai restare in casa per un paio di mesi'. Così presi in prestito una chitarra da uno dei ragazzi della band e pensai: "Imparerò a suonare, così posso scrivere queste canzoni". Non avevo preso nessuna lezione, non sapevo quali fossero gli accordi - alcuni erano piuttosto strani, credo (ride) – seguivo una strada nella mia testa. Si può dire che quei due mesi passati in un letto hanno dato il via alla mia carriera!
 

GE: Che chitarra era?
 

AB: Era in realtà una delle chitarre del padre del nostro chitarrista - una vecchia Gibson “old tobacco sunburst” semi acustica, con un pick-up, non un modello costoso, una specie di chitarra jazz, dal corpo piccolo. Basicamente la tipica Gibson.  



GE: Alcuni anni dopo, Frank Zappa si avvicinò e si presentò mentre suonavi in ​​un bar. Puoi descriverci quel momento?
 

AB: Sì, Frank chiese al suo autista, un giovane ragazzo di nome Terry Pugh, quale fosse la sua band preferita in città, e l'autista era un nostro fan.
 

Frank entrò nel locale e abbiamo continuato a suonare per circa 40 minuti. Poi si alzò e salì sul palco mentre stavamo ancora suonando, mi strinse la mano e mi disse "Ho intenzione di chiedere il tuo nome e il tuo numero al mio chauffeur, e quando finisco il tour ti chiamo per un audizione”. Alla fine chiamò circa sei mesi più tardi e mi diede materiale da imparare preso da una dozzina di diversi dischi - album che dovevo prendere in prestito perché non ne avevo nessuno e non avevo soldi - e il passo seguente fu, circa una settimana dopo, salire su un aereo per casa sua.  

Il mio primo vero ricordo di Frank è mentre cammino nel seminterrato di casa sua a Hollywood Hills, gli stringo la mano e inizio la mia audizione.  

GE: L'hai colpito subito?
 

AB: Penso che Frank mi abbia preso sotto la sua ala protettrice, non so perché. Ero l'unica persona che non sapeva leggere musica, quindi mentre i musicisti della band prendevano gli spartiti il lunedì per prepararsi per le prove, io restavo a casa sua ogni fine settimana e imparavo le cose a memoria. Il mio rapporto con Frank era completamente diverso da tutti gli altri. Uscivo con lui quando eravamo in tour, in aereo...Penso che gli piacessi davvero, e mi è piaciuto molto stare con lui.  

Oltre alla musica, mi ha insegnato la vita. Viaggiando per il mondo ho avuto da Frank un corso intensivo su come diventare un musicista professionista.  

GE: Puoi darmi un esempio specifico?
 

AB: Sì... è successo un paio d'anni dopo aver smesso di lavorare con lui. Ogni volta che andavo a Los Angeles andavo sempre a casa sua e stavamo insieme per un'ora o giù di lì, e guardavo cosa stesse facendo. Ogni volta che andavo a casa sua notavo che il suo studio cresceva sempre più - c'erano sempre cose nuove - e un giorno dissi "Frank, come fai a fare tutto da solo" e mi disse: "È facile, io non faccio coca cola!" (ride). Continuò "Ti dirò questo: qualsiasi cosa tu faccia nel mondo della musica, tienila in te stesso, monta il tuo studio e la tua casa discografica". Quel consiglio mi ha accompagnato per sempre - ho fatto esattamente quello che mi disse.
 

GE: Grande storia, grazie! Qualche tempo dopo hai lavorato con Brian Eno e David Bowie; come è successo?
 

AB: Beh, Brian venne a vedere uno show di Frank Zappa a Colonia in Germania - non lo incontrai allora, ma sapeva che David stava cercando un chitarrista, così chiamò David e gli disse di andare a vedere questo chitarrista. Due sere dopo suonammo a Berlino, dove viveva David, e fu quando David e Iggy (Pop) si presentarono sul palco.
 

La prima volta che ho incontrato Brian Eno è stato quando abbiamo inciso l'album Lodger. Arrivai a Ginevra in Svizzera e lui era il produttore, insieme a Tony Visconti. Siamo rimasti noi quattro non so quanto tempo insieme mentre suonavo tutte le mie parti di quel disco. Tutti gli altri erano ormai spariti.
 

GE: Com'è stato lavorare con Eno?
 

AB: Adoro Brian, è un grande produttore oltre a essere, ovviamente, un grande artista. Trova modi per fare le cose che non sono normali; riesce a metterti in una situazione in cui ti vengono in mente cose che normalmente non faresti. Da allora, è ciò che cerco di fare sempre con la mia musica. Cambio l'accordatura della chitarra, anche se non so cosa sto facendo, o suono uno strumento di cui non sono così competente, o cose del genere. Da lui ho imparato a pensare fuori dagli schemi – spingersi oltre, sfidare se stesso e non fare solo ciò che si aspettano da te.  

GE: Anche con Bowie sembrava ci fosse chimica...
 

AB: Conoscevo la musica di David. Anche quando ero un musicista così così, ero in gruppi che suonavano la sua musica principalmente perché era molto popolare, ma anche molto creativo, e sono sempre stato attratto da quel genere di band. Più tardi, quando l'ho conosciuto, ho scoperto che era molto facile andar d'accordo con lui: era molto divertente e modesto. Sapevi di essere lì con una superstar, ma non te lo rinfacciava né ti faceva sentire inferiore. Era entusiasta di quello che ho fatto.  

GE: Ti ricordi qualche momento in particolare adesso?
 

AB: Quando provo a scomporre la memoria, non funziona allo stesso modo: è come un film che scorre nella mia mente, ci sono molti, molti ricordi. Quando conosci una persona così, è più una questione di come dicevano le cose, le loro espressioni, o il modo in cui tenevano in mano la sigaretta. Non sono i grandi momenti ma le piccole cose.  

GE: Sto pensando a quel famoso video di Youtube, quando hai suonato l’assolo di "Stay" e lui si limita a guardarti con le braccia incrociate...
 

AB: Sì, questo è esattamente il tipo di cosa a cui sto pensando. Si tirava indietro, sorridendo, e in un certo senso era solo orgoglioso di me. La musica di David è sempre stata molto buona per i chitarristi. Penso fosse un grande fan della chitarra, quindi creava spazi dove potevamo semplicemente allungarci e fare cose.  

GE: Hai anche lavorato con Peter Gabriel...
 

AB: Quando abbiamo suonato per la prima volta con i King Crimson, il primo spettacolo fu a Bath, dove all'epoca viveva Peter, in un piccolo club di nome Moles, dove a malapena potevano entrare 120 persone. Peter ci invitò a casa sua e passammo lì un paio di giorni, avendo modo di conoscerlo.   Poco dopo stavo registrando con lui "Out Out", prodotto da Nile Rodgers. Per quanto ne so, il disco fu inserito nel film dei Gremlins, nella scena in cui lottano tutti i gremlins; il disco è nel jukebox sullo sfondo. È una canzone molto bella. Dura otto minuti; un sacco di tempo per suonare la chitarra!  

GE: La mia performance live preferita dei Talking Heads, oltre "Stop Making Sense", è quando ti sei unito a loro per suonare "Drugs" a Roma. Lo ricordi come un momento speciale?
 

AB: Ricordo chiaramente tutto questo periodo. Ero davvero elettrizzato in quel momento, la musica era semplicemente tremenda, e i Talking Heads stavano sfondando. Mi sentivo come fossi in disparte, guardando come si stesse facendo la storia.  

La band e il pubblico erano semplicemente incredibili. Era una grande sensazione, tutti erano così felici e la band suonava alla grande. E il mio ruolo nella band fu particolarmente bello - come con David Bowie, mi è stato insegnato a suonare ciò che voglio, a scatenarmi, fare tutti gli assoli e il resto; per me è stata come una vacanza. La musica dei Talking Heads è stata la musica più ‘comoda’ che abbia mai suonato, perché è una musica piuttosto semplice e le mie idee e la mia chitarra sembravano adattarsi perfettamente.  

GE: Sei ancora in contatto con David Byrne; potreste suonare di nuovo insieme?
 

AB: Certo che mi piacerebbe. L'ho visto una o due volte di recente. Siamo in ottimi rapporti con tutte queste persone e se mai volessero fare qualcosa di serio, mi piacerebbe assolutamente farne parte. Come ho detto, è stata una delle esperienze più gioiose che abbia mai vissuto. E credo che oggi ci sia un posto per quella band nel mondo. Non posso istigarlo, dipende da David, ma spero che un giorno si senta in dovere di farlo di nuovo.  

GE: Anche Jeff Beck è un tuo amico e mi chiedevo se aveste mai fatto una jam?
 

AB: Non abbiamo quasi mai suonato insieme. Quello che facciamo quando siamo insieme è sederci, bere vino e raccontarci storie fino alle quattro del mattino! (ride).  

Ogni volta che posso vado a vederlo suonare, adoro il suo modo di suonare. Era il mio ‘guitar hero’: sono sempre entusiasta quando posso stare con chi mi è sempre piaciuto di più. La gente mi ha detto molte volte 'pensi che tu e Jeff potreste mai suonare qualcosa insieme?', ma non lo so, non sono sicuro di quale sarebbe la chimica. Probabilmente finirei col cercare di sembrare lui, perché conosco le sue cose così bene! (ride).
 



GE: Hai lavorato molto con Trent Reznor di NIN; com'è stato lavorare con lui?
 

AB: Trent era molto simile a David nel senso che è un fan di quello che faccio, quindi vuole solo che faccia ciò che voglio. Porto le mie cose in studio e lui dice 'ascolta questo, non ci sarà nessuna voce, è completamente aperto; c'è qualcosa che ti piacerebbe suonare qui? e dico "sì, ho cinque idee diverse" , semplicemente, le suono. Con loro ho suonato su quattro dischi diversi: "The Downward Spiral", "The Fragile", "Hesitation Marks" e l'ultimo era "Ghosts".
 

GE: Qual è stata la differenza tra lavorare con Frank Zappa e Robert Fripp; due dei chitarristi più iconoclasti di sempre?
 

AB: Erano molto diversi. Frank aveva bisogno di qualcuno che suonasse la sua musica e la suonasse correttamente e coerentemente; non aveva bisogno che tu inventassi o fossi parte del processo creativo. Con Robert è esattamente l'opposto. Robert ha bisogno di un partner, non è un cantante, un paroliere o un cantautore; ma quando inizia a suonare la chitarra, è brillante, lo adoro, è molto iconico. Quindi un altro chitarrista può fare tutte le cose che Robert non fa e quando metti insieme due persone così, nasce una grande collaborazione, che è ciò che abbiamo avuto per 33 anni. Robert è molto bravo a fare le cose da solo, come "Frippertronics" e "Soundscapes", ma penso che abbia davvero bisogno di un contraltare, un partner con cui far rimbalzare idee, ecco perché ha funzionato così bene fra noi.
 

GE: C'è qualche possibilità di vederti di nuovo in tour con King Crimson?
 

AB: Penso sia possibile. È davvero una band diversa ora con un atteggiamento diverso, musica e membri nuovi. Devo solo aspettare e vedere come funziona e se c'è un posto per me lungo la strada e, se fosse il momento giusto della mia vita, perché no?  

GE: Chitarristicamente parlando, ho alcune domande più tecniche: com'è stato suonare una chitarra con sei manici nella tua hit "Oh Daddy"?
 

AB: (ride) è stato divertente. Sai che qualcuno mi ha appena mandato una foto circa due o tre settimane fa sulla mia pagina di Facebook; me ne ero completamente dimenticato. Quello era una chitarra che portarono il giorno delle riprese video, non so chi l'abbia fatta o dove sia finita. Era assolutamente ‘insuonabile’. L’ho tenuta in mano per circa cinque minuti in tutto.  

GE: Sembra ti sia divertito molto in quel video?
 

AB: Sì, mi sono divertito prima di tutto perché amo l'animazione. Sapevo fin dall’inizio che ci sarebbero stati un sacco di colori ed è stato divertente perché partecipò anche mia figlia di 10 anni. È stata la prima e unica volta che ho preso seriamente la possibilità di realizzare questo tipo di video per MTV, perché non sono un produttore di video.  

GE: Una volta hai detto che "pensi alla chitarra come un controller audio" - cosa intendevi dire con questo?
 

AB: Penso alla chitarra come se fosse una specie di voce. È parte integrante di me. Quando imbraccio una chitarra, mi sento così a mio agio. I miei pensieri diventano subito note, 50 anni di carriera ti portano fino a questo punto. Una delle cose straordinarie della chitarra elettrica è quanto sia espressiva, facendo bending, stirandole, cambiando il volume, proprio come fai con la bocca quando canti o quando parli. E se lo controlli, per me non esiste nulla che tu non possa fare; puoi farla suonare come vuoi. E se ci aggiungi tutta la tecnologia che è emersa nel tempo in cui ho suonato... beh, chiunque dica che la chitarra rock è morta è fuori di testa. Credo stia sbocciando, sempre.  

GE: Come e perché sono cambiati i tuoi gusti per le chitarre nel corso degli anni?
 

AB: Penso che il giorno in cui sia cambiato tutto sia stato quando ho preso una chitarra Parker; in realtà era un'epifania per me. Ero a Tokyo e me ne portarono una in stanza - volevano che provassi un pedale e mi portarono una Parker in modo che potessi provarlo - e dal momento in cui misi le mani su quella chitarra sentii che era come nient'altro. Rimase perfettamente accordata, la sensazione era incredibile, le mie mani volarvano su e giù per il manico; ho iniziato a suonare meglio la chitarra.  

GE: Qual è stata l'ultima chitarra che hai comprato?
 

AB: Ho comprato la mia prima Les Paul tre settimane fa. Stavo guardando in giro per il web per altri motivi, e improvvisamente ho visto questa chitarra e ho pensato “è la più bella Les Paul che abbia mai visto; se non prendo questa, non lo farò mai". Così l’ho presa – pensavo fose perfetta per me e, in effetti, lo è. Mi piace.
 

GE: Con il Power Trio in giro per il mondo, usi un’attrezzatura più ridotta – di cosa non puoi fare a meno?
 

AB: L'oggetto principale che ho è un il rack Fractal Audio Ax-FX ultra. Ora ne hanno uno più aggiornato ma sono rimasto con il primo ed è perfetto per me. È l'85% del mio suono. Uso anche un Boss GP 10 e con quel sistema posso ottenere suoni di chitarra diversi da combinare con l’Ax-FX, o usarlo da solo, e posso anche accordarlo in modo diverso, posso programmarlo in modo che ogni corda abbia un’accordatura diversa. In questo modo posso suonare armonie da solo facendo cose che sarebbero impossibili senza un secondo chitarrista. La terza cosa importante nel mio rig, specialmente nel Trio, è l'uso del looping. Uso molto il looping adesso e ho scritto canzoni in questo modo, per molto tempo. Il mio looper è in realtà nel computer e puoi scaricarlo gratuitamente. Il mio computer è il fulcro di tutto: posso mixare suoni, fare loop, scrivere programmi, con ciascuno degli elementi, senza dover andare all'interfaccia dell'oggetto.  



Il vero obiettivo di tutto questo è avere qualcosa di molto piccolo e che ti dia il massimo. Posso fare praticamente tutto quello che facevo prima con un’attrezzatura che pesa una trentina di chili in totale. Sulla pedaliera ho principalmente pedali del volume, ma ho anche un pedale midi chiamato Liquid Foot 12 plus che invia tutta la programmazione al posto giusto.



L'altra cosa nel mio set up è che gestisco la chitarra dall'inizio della linea. Passa attraverso un Keeley Compressor, che è sempre acceso, e tutto il resto passa attraverso un'unità MO-2 che lo invia tramite l’Ax-FX o il GP 10 e lo manda al computer. È un piccolo set up ed è incredibilmente versatile. Mi ci sono voluti cinque anni per arrivarci, ma sono ancora alla ricerca - un giorno avrò solo una chitarra e un computer in spalla.  

GE: Ripensando alla tua lunga carriera, quale consideri essere il periodo più felice?
 

AB: Se dovessi scegliere un periodo specifico, è stato quando sono tornato dal tour Sound and Vision del 1990 con David Bowie. Mi ero innamorato per la prima volta in vita mia - e fu un grosso problema - andai via per un anno intero, quindi la mia vita si capovolse. Non sapevo nemmeno chi fosse il presidente. Tornai e affittai una minuscola casetta sul lago nel Wisconsin. Rimasi lì per qualche mese con il mio pianoforte a coda, la chitarra, il basso, la batteria, una stanza piena di piante, e poco altro…è stato uno dei periodi più fertili per me. Avevo tenuto in testa per molto tempo tutte le idee che avevo – stava quasi per esplodere - e la maggior parte delle mie canzoni erano incentrate sulla mia adorabile nuova futura moglie. Quello è stato uno dei miei periodi preferiti perché era ogni cos al suo posto. È stato un semplice momento nel tempo ma non ce ne sono tanti così.
 

GE: Senza dubbio. Grazie mille.



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