L'ultimo 'guitar hero'

Di Sergio Ariza

Anno 2003, Jack White (nato il 9 Luglio del 1975 con il nome di John Anthony Gillis) è già stato dichiarato due anni prima come il ‘salvatore del rock’n’roll’ con i suoi White Stripes, ma non gli basta. Con il suo nuovo disco è sul punto di diventare qualcosa di ancora più ‘strano’, un ‘guitar hero’alla vecchia maniera, una specie in via d’estinzione. Ha bisogno solo di due momenti nel nuovo disco degli Stripes, per riuscirci. Il primo non si fa attendere, Elephant inizia a colpi di riff, con uno così iconico che è l’unico del XXIº Secolo a poter guardare a testa alta i classici del XXº, tipo Smoke On The Water, Satisfaction o Whole Lotta Love. Per quello usa una Kay Hollowbody degli anni ’50, una delle tre uniche chitarre elettriche che suonò durante 10 anni con gli Stripes. Ma la più iconica fra tutte, la sua Airline ‘JB Hutto’ Res-O-Glass rossa, la tiene in serbo per il momento in cui diventerà, definitivamente, il ‘guitar hero’ della sua epoca. Ball And Biscuit, l’ottava canzone, comincia con un blues più o meno abituale fino a che –dopo un minuto e 48 secondi- White si lancia con la sua Airline in uno degli assoli più incendiari degli ultimi anni. Una tormenta di feedback in cui non suona, ma attacca le corde con l’intensità di un predatore, alternando fra calma e tempesta tipica dei Pixies o dei Nirvana, ma in chiave blues. Se gli anni ’60 hanno avuto Hendrix, i ’70 Jimmy Page, gli ’80 The Edge e i ’90 Kurt Cobain, il XXIº Secolo aveva finalmente trovato il suo chitarrista.  

    

La sua storia inizia a Detroit e, curiosamente, non comincia con una chitarra ma con una batteria, il primo strumento che ha avuto, e una dieta musicale basata nei grandi del rock degli anni ’60 e ’70 come The Doors, Pink Floyd e Led Zeppelin (una influenza che non l’ha mai abbandonato), ma sarebbe stata la scoperta del blues più classico, con il suo amato Son House su tutti gli altri, che gli avrebbe fatto capire di volere dedicare la sua vita alla musica. Prima di abbandonare la scuola, avrebbe conosciuto le due persone che l’avrebbero aiutato a lanciare la sua carriera. A 15 anni conobbe Brian Muldoon, un amico di famiglia con cui iniziò a lavorare come apprendista tappezziere. Fu lui a mettergli in testa la sua seconda gran passione musicale, il punk. Anche se la sua importanza sarebbe stata ancor più grande perché fu il responsabile del fatto che White lasciasse le bacchette per le sei corde. Muldoon e White, all’epoca ancora Gillis, formarono un duo ma visto che il primo era un batterista, Jack non ci pensò neanche un secondo e imbracciò una chitarra.
     

Ma non fu questo l’incontro fondamentale di quegli anni: durante l’ultimo anno d’istituto conobbe Meg White, una cameriera che frequentava i suoi stessi bar e negozi di dischi. Iniziarono presto una relazione e nel 1996, a soli 21 anni, si sposarono e Jack prese il cognome di sua moglie, l’esatto contrario di ciò che suole essere d’obbligo negli Stati Uniti. Un anno dopo il ‘si, lo voglio’, Meg iniziò a suonare la batteria, fu in quel momento quando Jack vide chiaramente il suo futuro e cominciò a lasciare libera la sua fantasia nel miscelare i riff più blues con l’attitudine più punk, tirandone fuori un’aggressiva musica tutta sua che presto trovò il proprio spazio nella scena del garage rock di Ditroit.
     

I White iniziarono a farsi una buona reputazione assai presto e decisero di battezzare la loro band come i White Stripes, approfittando del loro cognome. Fu in quei tempi che iniziarono a comparire i loro elementi distintivi, come la decisione di vestire solo di rosso e bianco (simile a ciò che vestiva Jack nella impresa di tappezzeria), non cercarsi un bassista per suonare in modo più crudo che mai o quello di presentarsi come fratello e sorella e non come coppia. Una cosa che non chiarirono neanche una volta diventati famosi.      

Intitolato come il gruppo, uscito il 15 giugno del 1999, l’album White Stripes era già la dimostrazione che il rock avesse trovato una nuova stella. Dal momento in cui White si lancia nel riff di Jimmy The Exploder si nota come soffia già un vento fresco e nuovo per il genere musicale, coniugando il classicismo con la ribellione tipica del punk. Jack rimase così soddisfatto del disco (dedicato a Son House) che nel 2003, quando tutti i critici lo proclamavano ‘salvatore del rock and roll’ grazie a White Blood Cells ed Elephant, lui non pensava di aver superato la crudezza e la forza del loro debutto.
     

Si sbagliava, con De Stijl, il loro secondo disco, avrebbero dato un passo più in là e sarebbero cresciuti come gruppo. Il disco iniziava con You’re Pretty Good Looking (For A Girl), una canzone che non raggiungeva i due minuti ma che dimostrava che Jack White era anche capace di scrivere meravigliose canzoni pop. La fama era dietro l’angolo. Ma che nessuno pensi che questo implicò una svendita della loro integrità: tutt’altro, rappresentò invece un allargamento dei loro orizzonti. Per non avere dubbi, bisogna solo ascoltare le successive canzoni, Hello Operator e Little Bird, due ‘sberle’ che lasciavano ben chiaro il fatto che il gruppo non avesse perso forza.
     

Il disco successivo è quello che gli avrebbe dato il successo definitivo: era il 2001 e, tutt’a un tratto, grazie a White Blood Cells e a Is This It?, il debutto de The Strokes, i gruppi chitarristici tornavano di moda. Era il terzo disco in tre anni per gli Stripes e la conferma assoluta di White come nuovo Messia del rock. È il loro disco più diretto fino ad allora, quello che si basa meno nel blues e più nella loro vertente garage: ne è una prova la canzone che li portò alla fama, Fell In Love With A Girl. È vero che torna a dimostrare che White ha un animo irrequieto e continua la sua ricerca in altre musiche, Hotel Yorba è un avvicinamento al country (il disco lo dedicò a Loretta Lynn) e la acustica We’re Going To Be Friends lo vede riconoscere un debito a Paul McCartney.
     

Nel 2003 tornarono in scena con Elephant, dimostrando che non si erano fermati. Il loro quarto disco è la loro opera maestra assoluta con meraviglie in quasi tutti i generi che dominano, dall’inno rock di Seven Nation Army (il riff più importante del decennio) fino alla chiusura con la divertente Well It’s True That We Love One Another (uno scherzo di White sulla relazione con sua moglie Meg). Il disco racchiude diverse prove della brillantezza di White, I Want To Be The Boy To Warm Your Mother’s Heart è un anticipo della passione per il piano che si manifesterà in Get Behind Me Satan, mentre You’ve Got Her In Your Pocket è un’altra prova dell’amore di White per il McCartney acustico –non in vano lo ha chiamato in diverse occasioni ‘il miglior compositore della storia’-, e poi troviamo Ball And Biscuit.
     

Una volta raggiunta la perfezione nel loro genere, White decise di sperimentare con altri suoni nel disco successivo. Anche se nei suoi primi dischi erano comparsi diversi strumenti, la chitarra elettrica era sempre sotto le luci del riflettore principale. Get Behind Me Satan, è il primo passo di Jack White verso nuovi territori, lasciando la chitarra elettrica in un secondo piano, con il pianoforte, l’acustica e la marimba ricoprendo posizioni più rilevanti.
   

L’anno dopo, le sue voglie di sperimentazione con altri suoni sarebbero diventate ancor più evidenti quando formò The Raconteurs insieme a Brendan Benson. Con una formazione classica di due chitarre, basso e batteria, questo gruppo gli sarebbe servito per lasciare le briglie sciolte al suo amore per il power pop più diretto e ne è una prova la canzone più nota, Steady As She Goes. Nel 2007 tornò con Meg -professionalmente s’intende-, visto che erano ormai separati di 7 anni (anche se continuavano a riferirsi l’un l’altro come fratelli). Nessuno lo sapeva ancora, ma Icky Thump avrebbe finito per essere l’addio del duo che aveva rivoluzionato il rock del XXIº Secolo.
     

Fu il suo ritorno al rock più diretto, al blues punk degli inizi, ma con un attacco molto più classico e utilizzando più strumenti, dalla tromba di Conquest al clavioline di Icky Thump, senza dimenticare che questo disco suppone l’apparizione della Gibson L-1 acustica del 1915 (conosciuta come modello Robert Johnson), una chitarra che il proprio White ha dichiarato essere la sua preferita.
 

       

Consolers Of The Lonely
, il secondo disco insieme ai Raconteurs, vede il Jack White più classico, più anni ’70, che lo avvicina di più ai Led Zeppelin, agli Stones e incluso ai Badfinger. È il disco prodotto meglio, nel senso dell’attenzione dedicata, ed è anche il meno punk, ma non per questo smette di essere un disco divertente che racchiude diverse delle sue migliori canzoni, da quella che dà il titolo all’album a Salute Your Solution, Old Enough, These Stones Will Shout e, su tutte, Carolina Drama. Se c’era gente che aveva criticato il primo disco del gruppo, definendolo come un tiepido esempio di power pop, con questo disco White volle chiarire che i Recounters erano una (grande) rock band.
     

Sarebbe arrivata dopo la creazione di una band parallela, The Dead Weather, dove White avrebbe dato libertà alla sua prima passione, la batteria. Non arrivò prima del 2012 il primo disco in solitario dell’uomo che cambiò la faccia del rock del XIº Secolo, il magnifico Blunderbuss. Due anni dopo era il turno di Lazaretto, l’ennesima prova del suo enorme talento. La sua musica, come le sue chitarre, era diventata più classica: se con i Recounters lo si vedeva spesso con Gretsch, nei disci in solitario ha usato spesso una Les Paul e una Telecaster. Ma la chitarra con cui lo si assocerà sempre è la Airline ‘JB Hutto’ Res-O-Glass, tanto come a The Edge con la sua Explorer del 1976 o a Jimmy Page con la Les Paul Standard ‘No. 1’ del 1959…i due chitarristi con cui registrò lo spettacolare documentario It Might Get Loud. Un documento che è la prova del suo status di ultimo gran ‘guitar hero’ del rock.


(Immagini: ©CordonPress)

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