Prendete appunti

Di Tom MacIntosh

Il newyorkese Joe Bonamassa è sulla scena musicale da circa 26 anni. Il ragazzo prodigio iniziò la sua ascesa quando aveva 12 anni, aprendo concerti per B.B.King, e da allora non si è più fermato. Ha collaborato con Eric Clapton, Stephen Stills, Beth Hart, Foreigner, Steve Winwood, Warren Haynes e Derek Trucks, solo per citarne solo alcuni. Il suo ultimo disco, Redemption (settembre 2018), è il tredicesimo album come solista. Oggi lo ascoltiamo e ne parliamo.  

   

Per il disco, prodotto dal suo socio di lunga data Kevin Shirley, Bonamassa si è fatto accompagnare dalla sua band itinerante di veterani musicisti: Reese Wynans / tastiere (Mark Knopfler, Johnny Cash), Anton Fig / batteria, Lee Thornburg / tromba (CC Riders), Paulie Cerra / sax (Stevie Wonder, Billy Preston), i chitarristi Kenny Greenberg e Doug Lancio, e infine le coriste Mahalia Barnes, Jade McRae e Juanita Tippins.
 

La trama di questo nuovo lavoro gira intorno ai tempi difficili e tumultuosi che ha attraversato ultimamente, e che ritroviamo sparsi in modo superbo in questa scaletta. L'apertura con Evil Mama coinvolge immediatamente con una forte sezione ritmica (alla Led Zeppelin) e strumenti a fiato che rispondono al battito pulsante della batteria, poi entra l’acuta la voce di Bonamassa con un coro pieno di soul in sottofondo. È la canzone perfetta per spalancare la porta di un album sorprendente, che mette in risalto l'evoluzione di Bonamassa come onesto cantautore, e che possiede una varietà di angoli creativi, come King Bee Shakedown, un power rock-n-roll con un tempo boogie e alcuni riff rockabilly che Joe tira fuori dalla sua Fender Stratocaster.
 

   

La potente ballata Molly O diventa "heavy", facendosi largo tra le onde raccontando la tragica storia di una povera ragazza irlandese che perisce in mare mentre è alla ricerca di una nuova vita. I testi e soprattutto il ritmo pesante ritraggono la nave che affonda senza rimedio, andando a fondo come un sasso. Lo slide funziona bene sul pezzo, probabilmente suonato sulla sua Gibson Les Paul del 1960, scivola dolcemente in alcuni licks incendiari tipici di Joe Bonamassa.
 

 

Poi cambia marcia con The Ghost of Macon Jones con un tocco country, suonando un lap-steel Gibson Skylark EH500 del 1955 su un pianoforte Wynans che dipinge l'estetica da cowboy, e il duetto vocale con Jamey Johnson è fluido e pieno di sentimento. Pick Up the Pieces è sulla stessa linea, un po’ country, riecheggiando anche Tom Waits, è un altro angolo nascosto dell'album, con un pianoforte solenne accompagnato dal sax di Cerra che gioca con le note chitarristiche di Joe. Il blues di Chicago è più che evidente in Just Cos' You Can Don’t Mean You Should, cavalcando potenti ottoni e lick puliti, si afferra stretto al suono di B.B. King, usando anche un wah wah per dare all'assolo ancora più attacco.
   

   

Il tema della redenzione / salvezza continua con pezzi come la title track, ovviamente, o Self-Inflicted Wounds, il bluesy-rock Love Is A Gamble, o Stronger Now in Broken Places, un'accattivante ballata acustica che risalta la voce e il tocco alle sei corde del nostro eroe.
 

Se hai familiarità con quello che Guitar Magazine chiama "The Reigning King of Blues-Rock", allora questo disco stimolerà il tuo appetito con alcuni dei migliori pezzi blues/rock arrangiati-prodotti-suonati in circolazione in questi giorni. Joe Bonamassa e compagnia consegnano un disco pieno di materiale di intrattenimento solido e con un’eccellente musicalità. Se non hai familiarità con lui, e ti piacciono le composizioni blues/rock, il wall-of-sound o l’heart-blues, allora questo disco fa per te. Joe Bonamassa è un ingranaggio fondamentale di ciò che mantiene questo genere musicale più che vivo e vegeto, "qui e ora".
   

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