L’umile “Guitar Hero”
Di Paul Rigg
Il britannico Peter Frampton (22 aprile 1950) è
un chitarrista, cantautore e una delle grandi leggende del rock.
Frampton ha iniziato la
sua carriera a 14 anni nei The Preachers
lavorando con Bill Wyman dei Rolling
Stones; compagno di scuola (e in seguito di tournée) di David Bowie; formò gli Humble
Pie prima di iniziare la carriera da solista e di diventare una superstar mondiale,
dopo l'uscita di Frampton
Comes Alive!. Da allora ha lavorato con i migliori artisti, ha
pubblicato una dozzina di album e nel 2007 ha vinto un Grammy per il miglior
album di pop strumentale, Fingerprints.
Guitars Exchange raggiunge Frampton a metà maggio 2018 mentre si
trova a Los Angeles, dov’è in visita da amici. Il giorno prima ha comprato una
serie di pedali che sta provando (un OCD, un Friedman 'Dirty Shirley' e un digital
delay della Boss DD500 - che dice essere "la madre di tutti i delay") e ha intenzione di riprendere non
appena sia finita la nostra intervista.
Ma per ora la sua
chitarra è sul letto accanto a lui, ha un caffè in mano, ed è entusiasta di
parlare della sua incredibile carriera, dei problemi del successo e del futuro
delle chitarre nella settimana che Gibson ha dichiarato bancarotta.
GE: Sei rimasto scioccato nel
sentire la notizia che Gibson sta fallendo?
PF: Abbiamo sentito pettegolezzi
per un po’. Non so nulla del lato business e non è il mio forte, ma non credo
che Gibson scomparirà: è un'azienda storica e penso che sarà salvata. Questa è
la mia speranza. È troppo storica perché scompaia.
GE: Dice qualcosa sul futuro della
musica per chitarra?
PF: Sono alti e bassi -
un anno sono le tastiere, poi i flauti, e poi di nuovo le chitarre; forse si troverà
un equilibrio un giorno in cui sarà costante, non si può dire. Ma la chitarra è
uno strumento così desiderabile, una volta che sai che puoi suonare una canzone
dall'inizio alla fine, ti appassioni. Mentre giro per il mondo, continuo a
notare giovani chitarristi che escono dalle fabbriche di chitarre. Di recente
ho incontrato una ragazza di 11 anni, si chiama Joy, in una scuola di rock a Winnipeg,
in Canada, ed era così appassionata con la sua chitarra. Entrambi abbiamo
iniziato quando avevamo sette anni e lei aveva la stessa passione che avevo io.
Quindi sono ancora là fuori.
GE: Tornando all'inizio della tua
carriera, qual è stata la tua prima chitarra?
PF: Il mio primo
strumento è stato un ‘banjo-lele’ che mio nonno mi diede tramite mio padre, è
quello che usò George Formby. Era accordato
come un ukulele, ed era l'unica cosa che mi permetteva di mettere le mani sul manico
a quell’età. Ma alla fine dell'anno chiesi quella che si chiamava
"chitarra da plettro" - non aveva altro nome. Non ho più quella
chitarra perché, naturalmente, bisognava cambiare la prima chitarra per la
seconda a quell’epoca. La seconda fu una Höfner Club 60; ho amato quella
chitarra. Quello fu la mia prima vera elettrica.
GE: Hai formato The Herd quando
avevi solo 16 anni e facevi parte del movimento Mod; com'è stato essere
coinvolti nella scena della "swinging London" a quell'età?
PF: Beh, per me è stato
piuttosto surreale tranne per il fatto che non sapessi veramente cosa fosse
surreale; vivevo giorno per giorno. La mia prima sessione di registrazione importante
fu quando avevo 14 anni, in una band chiamata The Preachers. Bill Wyman era legato a noi perché il batterista Tony Chapman, che era mio amico, era il
batterista originale degli Stones, prima di Charlie [Watts], e fu
lui a presentare Bill agli Stones, così quando Tony non fece più parte della
band Bill si sentì in debito con noi. Mi disse "quando metterai su un gruppo, ti porterò in studio, farò da produttore
e da manager", quindi diventai amico di Bill molto giovane. Così,
quando avevo 15 anni, andavo con lui nei club e con gli occhi spalancati mentre
mi bevevo una Coca-Cola o una Pepsi mi ritrovavo con Brian Jones o Paul McCartney. Bill in sostanza mi ha scoperto e alla fine The
Preachers furono prodotti da Glyn Johns
perché era lì con gli Stones, quindi la mia prima sessione seria fu come
iniziare dalla cima. Era il 1966, avevo 16 anni e frequentavo la città dal
1964; molto prima di quanto avrei dovuto fare. Fu indimenticabile.
GE: Ho sentito che negli ultimi mesi
degli Small Faces, quando Steve
Marriott decise
di lasciare la band, gli altri tre ti chiesero se volessi essere il suo
sostituto; è vero?
PF: Sì. È divertente
perché ero al telefono con Steve, che riposi in pace, per cercare un nome e ne
propose una mezza dozzina e io dissi: "Humble
Pie, quello. È quello, lo adoro". Avevo appena attaccato con Steve quando
Ronnie Lane, il caro Ronnie, mi chiamò
e mi disse: "Possiamo venire e trovarti?".
Così vennero tutti e tre e me lo chiesero e il mio unico pensiero fu "potremmo essere stati tutti nella stessa
band', il che è triste per me perché sin da quando vidi per la prima volta gli
Small Faces suonare dal vivo What’cha Gonna Do About It? nel programma Ready Steady Go!
dissi 'Voglio essere in un gruppo con
quel ragazzo’ [Marriott]. Era diverso, aveva un tale talento, e sono ancora
elettrizzato dal fatto che abbia avuto modo di lavorare con lui per così tanto
tempo.
GE: Quando gli Humble Pie iniziarono
ad avere un sound più hard rock con Rockin' The Fillmore si dice che tu
sentissi che dovessi lasciare la band; ti sei risentito?
PF: No, non l'ho fatto di
fatto. C'è un malinteso qui. In realtà ho composto alcuni riff ancor più
pesanti prima degli Humble Pie, come I Don’t Need No Doctor e Stone Cold Fever per citarne solo due, quindi non si può davvero
dire che il rock duro non fosse il mio genere: lo è stato, l'ho adorato. È solo
che la nostra prospettiva si era ristretta e questo era tutto ciò che facevamo,
perché era quello che voleva il pubblico. Facevamo di tutto per rendere lo
spettacolo dal vivo il più potente possibile; specialmente quando partecipavamo
in spettacoli da 10.000 posti, volevamo essere ricordati. Davamo il massimo in
ogni show e questi diventavano sempre più elettrici, cosa che ho amato, non
c'era niente di sbagliato in tutto ciò, era fenomenale, ma il lato più acustico
degli Humble Pie si stava riducendo, e volevo essere in grado di suonare tutta
la gamma invece di fare solo un tipo di musica. Penso di averlo dimostrato con Wind of Change, il mio primo album da
solista, che ha spaziato dalla chitarra acustica a Billy Preston al rock puro.
GE: È vero che hai conosciuto il
leggendario Pete Drake, maestro del pedal steel, mentre entrambi stavate
aiutando George Harrison a registrare "All Things Must Pass"?
PF: Sì.
GE: Fu fondamentale per introdurti
nel mondo dell'ormai famoso talk box. Qual è stata la cosa che ti ha
appassionato di più di questo effetto?
PF: Ti ricordi Radio Luxembourg? Ti ricordi il segnale
di chiamata? Era il dial 208, e avevano il segnale di chiamata "Fabulous 208", fatto con qualcosa
di molto simile a un talk box, quindi quando ascoltavo Radio Luxembourg, che era
l'unica a passare buona musica, dalle 7 alle 10, credo ricordare, quel suono mi
prese. Così quando Pete Drake si sedette davanti a me negli studi di Abbey
Road, con una scatola di metallo e un tubo in bocca, e iniziò a suonare il
pedal steel per noi, io e George lo guardammo e pensammo 'che diavolo sta facendo?'; restammo stupefatti, con le mascelle spalancate,
e nella mia testa pensai: 'eccolo, questo
è il suono che ho cercato per tutti questi anni'.
Gli americani non fanno
questo collegamento tra il talk box e Radio Luxembourg, ma per me chiuse un
circolo in modo incredibilmente veloce e gli dissi 'dove l'hai preso?' e Pete mi disse che l’aveva fabbricato lui
stesso. Più tardi Rose Drake, la moglie di Pete, ricevette una chiamata da Joe Walsh che aveva sentito parlare di questa cosa e gli disse
"sarebbe possibile avere in prestito il talk box di Pete Drake, voglio
suonarlo su un pezzo". Era Rocky
Mountain Way, che continuo a pensare sia l’assolo definitivo con il talk
box.
Più tardi Joe disse a Bob Heil, un caro amico fabbricante di
microfoni e amplificatori, "Bob, puoi
farmene uno ma più forte?" e Bob rispose "sì, penso di poterlo fare" e quello divenne il primo talk box
Heil. Bob me ne regalò uno come regalo di Natale, probabilmente era il 1973. Lo
presi e mi chiusi a chiave in una sala prove probabilmente per una settimana e
ne uscii sapendoci parlare. L'ho usato per la prima volta nel disco Frampton, nella versione in studio di Show Me The Way, ma poi l'ho introdotto negli
spettacoli per una parte di Do You Feel,
con certo stupore per l'effetto che aveva sul pubblico.
La cosa divertente era
che all’epoca stavamo aprendo i concerti per Joe Walsh (ride), prima dell'album
live e così, povero Joe, avevo già usato il talk box prima che arrivasse lui
sul palco. Non sono sicuro di quanto gli sia andata giù al momento, ma adesso
ci ridiamo su, quindi ...
GE: Hai avuto la sensazione -prima
che l'album fosse registrato dal vivo- che sarebbe stato così speciale?
PF: Beh, la prima volta
che l'ho usato sul palco mi ha semplicemente spinto all’indietro - l'intera
band fu spinta all’indietro - è stato come se l'intero pubblico si fosse
spostato di mezzo metro più vicino al palco in massa, era magnetico, la gente
non aveva idea di cosa stesse succedendo. Il fatto è che il mio senso
dell'umorismo è inglese, ovviamente, l'autoironia vince sempre, sono così, non
mi prendo mai sul serio. È un suono divertente e, semmai, mi sto prendendo gioco
di me stesso in molti modi facendo rumori simili a un computer, che nessuno
aveva mai ancora sentito in quel momento. Quindi fu assai efficace dalla prima
volta che l'ho usato in poi. Fa ancora lo stesso effetto, ma penso che ora sia
più perché le canzoni sono radicate nei ricordi delle persone. Ma i giovani vengono
ai concerti - il pubblico diventa sempre più giovane, grazie al cielo - e vedo
ancora lo stupore sui loro volti. Costò 150 dollari e mi ha fatto vendere oltre
17 milioni di dischi finora...
GE: Molti artisti vanno in pezzi di
fronte a quel tipo di successo; come ti ha influenzato?
PF: Sono andato in pezzi!
(ride). Totalmente! (ride).
Pensavo di aver imparato:
ero stato prodotto da un Rolling Stone, ero stato membro de The Herd e degli Humble
Pie, ero stato in Top of the Pops, sapevo
tutto di questo business di successo, sai, ti fai portare e va tutto bene, e
poi uscì Frampton Comes Alive!...e mi
trasformai in carne trita. Sono diventato una cosa assai richiesta e mi sono
trasformato in un'entità piuttosto che in una persona, e mi sono perso per un
po'. Ma sfido chiunque a non aver bisogno di tempo per affrontarlo, è stato
piuttosto assurdo. Sono un sopravvissuto, sono molto combattivo: se mi abbattono
mi rimetto in piedi, più forte di prima. Penso di averlo preso da mia madre e da
mio padre, che furono entrambi personaggi molto positivi nella mia vita; sono
stato molto fortunato di avere genitori così bravi.
GE: Grazie per averci raccontato
queste cose; ora un cambio di direzione! Mi piacerebbe dire una serie di nomi e
chiederti una parola su di loro o il primo ricordo che ti viene in mente:
Jerry Lee Lewis?
Oh mio Dio, ho avuto modo
di suonare con Jerry Lee Lewis in una sessione con Albert Lee e Rory Gallagher – ancora non ci credo. Fu quando iniziai ad essere un turnista – cosa che
continuai a fare quando lasciai gli Humble Pie. Fu allora che cominciai a
chiedere agli amici di suonare nei loro dischi. Ero pietrificato, il secondo
nome del tipo è "killer", ero un po' intimidito, ma fu molto gentile
e mi accolsero tutti bene. Era un po' come andare al supermercato e prendere il
tuo numero e poi aspettare perché qualcuno dica "ok, numero 19, tocca a te!"
ed eccomi con Albert e Rory; fu semplicemente fantastico!
Ringo Starr?
Uno dei miei più cari
amici e un batterista eccezionale. A volte la gente la pensa diversamente, ma
io sono un grande fan di Ringo perché nessun altro avrebbe potuto suonare su
quei brani dei Beatles e renderli così unici; inoltre il suo feeling è
completamente diverso da quello di chiunque altro. Ho scritto la mia primissima
canzone con lui l'anno scorso e la settimana prossima ne scriverò un’altra, visto
che sono a LA proprio ora. Gli ho detto: 'Ho preso il tuo cavallo e ho lucidato
la spada e la sto portando in giro con Sir Ringo, mi assicurerò che ti sia
messo su l’armatura' (ride).
Barry Gibb?
Uomo adorabile, scrittore
e cantante meraviglioso, molto divertente, uno che è molto serio e appassionato
con quello che fa.
Mike McCready?
Prima di tutto è un
grande fan degli Humble Pie! (ride). È un tipo adorabile; i Pearl Jammers sono
come una grande famiglia felice. Ho suonato con Mike e Matt [Cameron, dei Soundgarden] Black Hole Sun, e un altro pezzo che abbiamo fatto insieme, che è da
brividi. Mike fa così tanto per gli enti di beneficenza – per i giovani e per il
morbo di Crohn, è stato il ragazzo immagine per loro, ha fatto molto bene.
In tour con gli 'Yes'?
Quale? (ride) Ho fatto un
tour con tutti loro! Ci sono gli Yes, i No-Yes e gli Yes-No. In effetti andrò a
cena con Trevor Rabin la prossima
settimana perché usciranno molto presto in tour con la versione degli Yes di Jon Anderson. Sono sempre stato un fan
di Steve Howe, ancor prima che entrasse nella band, e di Chris [Squire] che ricordo nel Marquee con una band chiamata The Syn, perché anche The Herd avrebbero
suonato lì. Veniamo tutti da molto lontano. Alan White ovviamente è uno dei miei batteristi preferiti di sempre.
Come Bill Bruford. Hanno sempre
avuto musicisti tremendi.
GE: Passando alle domande sulla chitarre,
due anni fa hai registrato un album chiamato Acoustic Classics, in stile
"Unplugged". Qual è stata la tua attrezzatura per quell'album?
PF: Per quanto riguarda le
chitarre, ho un paio di Martin D-42 Peter Frampton, che uso con diverse
accordature. Ho usato la mia Epiphone Texan originale che suonavo con gli
Humble Pie e con cui ho scritto tutte le mie canzoni fino al 1980 circa, ne ho
usato anche una nuova e una Dupont, una chitarra francese tipo Django, eccezionale,
che ho preso direttamente in Francia. Poi ho anche una vecchia Tacoma Chief
cutaway acustica.
Abbiamo registrato con
due microfoni Neumann U67, modificati per avere un po’ più di high end, usati
come coppia stereo a circa mezzo metro da me, e poi due microfoni stereo più
vicini. Non abbiamo posto alcun limite alla registrazione, quindi se cantavo
allo stesso tempo usavo un altro Neumann U47, dipendendo se stessi cantando dal
vivo o semplicemente suonando il brano per primo. Mi sono concesso un solo assolo
acustico e poi Do You Feel è stato
l'unico pezzo in cui ho suonato un basso acustico, non c'era nessuna chitarra
elettrica, tranne ovviamente quando ho suonato con il talk box. Ci ho pensato
molto perché stava uscendo dall’ambiente di ciò che doveva essere, ma ho detto
"non sarà lo stesso se non lo userò", così l’ho fatto; ma quella fu
l'unica parte elettrica dell'intero disco.
GE: Quali chitarristi hai ascoltato
nelle ultime settimane?
PF: ascolto ancora i
vecchietti. Django Reinhardt, Kenny Burrell, Wes Montgomery, George
Benson, il primo e l’ultimo
George Benson - aveva 16 anni quando suonava con Jack McDuff, un musicista incredibile - quello è il mio lato jazz;
e poi ho ascoltato tutti i Kings e T-Bone Walker perché sto registrando
alcuni brani blues, perché abbiamo iniziato a fare la versione di Freddie King
di Same Old Blues e dal vivo suona
benissimo. La mia band ed io ne siamo entusiasti.
GE: Infine, quale consiglio daresti
a un chitarrista che abbia appena iniziato a suonare?
PF: Fa’ quello che ho
fatto io! Ho ascoltato tanti chitarristi diversi di tutti i generi che mi piacevano
e ho cercato di imparare nota per nota per sapere cosa stessero facendo. Ai
vecchi tempi si rallentavano i dischi da 33 giri a 16 giri al minuto, si
suonava un'ottava più bassa ma alla metà della velocità; al giorno d'oggi ci
sono tutte queste meravigliose app che rallentano le cose. Lo faccio ancora,
perché è così che impari, penso: "Come diavolo lo fa?”. Le mie dita non
sono lunghe quanto vorrei, certe cose non sono così facili per me, ma ho
imparato a lavorarci su e a imparare con uno stile mio. Ed è quello che i
giovani chitarristi dovrebbero cercare. Ascoltare molti chitarristi e anche altri
strumenti; ho imparato gli assoli di armonica Little Walter, ad esempio, perché stava cercando di far suonare la
sua armonica come una chitarra attraverso un amplificatore distorto con la sua
armonica e sono riuscito a far suonare la chitarra come Little Walter – darei qualsiasi
cosa per una sfida, fa funzionare il tuo cervello e fa andare le tue dita dove non
sono state mai quando ti eserciti-. Un giorno, quando ne hai fatte abbastanza
di queste cose, ti svegli e suoni e pensi "questo sono io"; suoni a
modo tuo. Mi è successo mentre ero con gli Humble Pie - non stavo suonando
direttamente blues o jazz ma sentii "wow, questo sono io adesso". È
una sensazione meravigliosa quando crei il tuo stile.
L'intervista finisce parlando
di un famoso video di Youtube di una sua passeggiata con David Bowie per
Madrid, erano alla ricerca di una birra. Ci dice che quel video è uno di quelli
che più gli scalda il cuore. Abbiamo anche parlato brevemente del suo prossimo
tour negli Stati Uniti con Steve Miller, e spiega che ogni volta che suonano insieme va
sempre alla grande.
Nonostante sia una leggenda
del rock e un guitar hero per molti, il
tipo degli Humble Pie rimane schivo, gentile e molto divertente; niente a che
vedere con un settore pieno di egoismo e di ego. Lo ringraziamo a nome di Guitars
Exchange e risponde: "siete
i benvenuti, possiamo ripetere la chiacchiera quando lo vorrete". Ed
eccolo lì, un gentiluomo fino all'ultimo.