Blues nel sangue
Di Paul Rigg
La serba Ana Popović
è cresciuta avvolta in una "jam session" quasi ogni sera a casa sua,
cosa che fa scorrere il blues nelle sue vene.
Popović è leader della sua band e ha già pubblicato 10 album
da solista: quasi tutti hanno raggiunto il Top 5 nella classifica Blues di
Billboard.
Ha condiviso palcoscenico in tutto il mondo con artisti come
B.B. King, Gary Clark Jr., Buddy Guy
e Joe Bonamassa, ed è regolarmente
apparsa sulla copertina di importanti riviste musicali, come American Blues
Scene e Guitar Player. È anche l'unica chitarrista femminile a partecipare nel
tour tributo All-Star Hendrix, tra il 2014 e il 2017.
"The Boss" Bruce
Springsteen ha riassunto solo un aspetto del suo fascino quando disse:
"Ana Popovic è un diavolo di
chitarrista".
Guitars Exchange raggiunge Ana Popović in una calda mattinata
di Los Angeles, mentre torna a casa dalla palestra.
GE: Grazie per aver
trovato il tempo nel tuo fitto programma! In un'intervista hai detto che la tua
musica riflette sempre le tue emozioni in un particolare momento della tua
vita: in quale momento ti trovi adesso?
AP: Vivo nella soleggiata California e non potrei essere più
felice. Ho sempre voluto finire qui e finalmente è successo!
GE: Il tuo ultimo
album, "Trilogy", è un triplo album: cosa ti ha spinto a farlo?
AP: Nei miei dischi c'è sempre una miscela di stili diversi,
ma alcuni dei miei fan mi dissero, 'ho
fatto una compilation di blues, con le tue canzoni’ o 'ho fatto un album di jazz con i tuoi pezzi', così ho pensato
"Perché non lo faccio io?" Avevo un disco di Taj Mahal, un cofanetto, e pensavo "Oh, mi piacerebbe fare qualcosa del genere a un certo punto della mia
carriera", ma visto come stava peggiorando il business della musica,
non ero sicura che ci fosse ancora tanta gente disposta a comprare CD, quindi
ho pensato "se voglio farlo, è
meglio che lo faccia adesso". Mi ci sono voluti circa tre anni per
unire stilisticamente le canzoni, e la registrazione mi ha portato via un altro
anno.
Volevo anche avere il controllo totale su ogni canzone,
scriverle con compositori particolari; selezionare i batteristi, i fiati e i
produttori. Ero involucrata in ogni dettaglio del progetto e volevo il meglio
da ogni persona coinvolta.
GE: Dove l'hai
registrato?
AP: La maggior parte dei miei dischi sono stati registrati
in diverse città; ho sempre lasciato che ogni città trasmettesse qualcosa alla
mia musica. Non mi piace incidere di corsa, chiusa in studio per 10 giorni.
Abbiamo trascorso alcuni mesi a New Orleans, ad esempio, e prima a Memphis, nel
Tennessee e a Nashville. Volevo lasciare che ogni canzone mi portasse dove
volesse, quindi a volte incidevo il ritmo base a Memphis e poi prendevo le
tracce e aggiungevo una sezione di fiati a New Orleans, e la voce a Nashville.
E se volevo un suono totalmente diverso per un'altra sezione, andavo da qualche
altra parte.
GE: Suoni con Joe
Bonamassa nella canzone “Train” sull'album, come è nata la collaborazione?
AP: Avevo scritto, registrato e suonato Train, e un giorno la stavo ascoltando nel mio salotto e pensavo
'Oh, Joe, la suonerebbe alla perfezione'. Sentii la sua chitarra proprio lì.
Così gli ho mandato un messaggio di testo e gli dissi "puoi suonare in questa canzone?", e
due giorni dopo avevamo il suo assolo proprio lì, prenotammo lo studio e fu
perfetto, come avevo immaginato.
GE: C'è un momento in
particolare con Joe Bonamassa che ti fa sorridere ora quando ci pensi?
AP: Adoro quella canzone, ha fatto un assolo incredibilmente
caldo, è così spontaneo, davvero un maestro dello strumento. Sono una sua
grande ammiratrice come chitarrista; in lui puoi ascoltare Albert King, B.B. King e Albert
Collins, ha un modo per farti ricordare tutto, le radici, ma poi lo
porta a un livello superiore.
GE: Suoni una versione
di Tom Waits, “New Coat of Paint”, nell'album. Cosa ti ha fatto scegliere
quella particolare?
AP: Beh, è difficile scegliere una canzone, perché ne ha
diverse incredibili. È uno dei migliori compositori del nostro tempo. Quella
canzone aveva un forte suono di strada e un'atmosfera jazz; c'era anche un
sacco di spazio per organizzare i fiati. L'ho suonata con un noto produttore di
jazz e gli piacque molto, non credo l’avesse sentita prima. In quell'album
avevo così tante opzioni che era impossibile scegliere, i musicisti erano
semplicemente dei maestri dei loro strumenti, tutto sembrava perfetto.
GE: Una volta hai
detto che Sting e Tom Waits erano
quelli che ti hanno influenzato maggiormente come compositori, perché?
AP: Sono una grande ammiratrice di entrambi. Sono molto
moderni e scrivono di cose su cui gli artisti raramente scrivono, e mi piace
fare lo stesso. C'erano molte canzoni che non avevo suonato tematicamente
prima; non mi piace proprio ripetermi, preferisco andare altrove. Cerco diversi
lati di me stessa come compositrice.
GE: Hai mai incontrato
Tom Waits?
AP: No, sfortunatamente no, ma mi piacerebbe molto.
GE: La tua canzone “Johnny
Ray” è una delle mie preferite. Come l’hai scritta?
AP: Ho una canzone blues su tutti i miei album. Comincio
pensando allo stile. Se voglio scrivere una canzone blues, mi piace pensare ai
grandi, al loro modo di raccontare storie, alla loro sequenza, al loro
fraseggio, e allo stesso tempo, cerco qualcosa di moderno, e semplicemente mi
viene in mente. Non canterò di campi di cotone perché sono nata in un’altra
epoca; ma deve essere una sensazione forte perché così è il blues.
GE: Hai persino un po'
di rap in Trilogy. Come sei finita a lavorare con il rapper Al Kapone in 'Let’s
do it again'?
AP: Non avevo mai lavorato con un rapper, ma mi è venuto in
mente, ho pensato 'Voglio fare qualcosa
che non ho mai fatto prima'. Al è uno dei rapper più famosi di Memphis e ha
scritto molto come "nero" per gli altri. È stato interessante vederlo
entrare nello studio di Memphis, ascoltare la canzone, prendere una bottiglia
di whisky e fare una passeggiata. Quando è tornato, ha colpito proprio nel segno.
È stato perfetto. Non riesco a pensare a niente di meglio.
GE: Sei cresciuta
circondata da musica blues, dal vivo quasi tutte le sere a casa tua, perché tuo
padre Milutin suona la chitarra in una band. Quando hai iniziato?
AP: ho iniziato a registrare a 12 o 13 anni. Ascoltai Robert Johnson e lo imparai a memoria a
casa. Imparai un assolo di Albert King e poi sono andata per la mia strada.
Milutin chiacchierava con gli amici e io li ascoltavo, mia madre e mia sorella
andavano a letto e io restavo alzata fino a tardi, perché volevo ascoltarli
suonare e ascoltare i progressi della loro banda amatoriale. Ho iniziato a
suonare il piano un po'. Provai la chitarra spagnola con le corde di nylon, ma
non andavo da nessuna parte, quindi ho finalmente provato a suonare la chitarra
elettrica ed è così che è iniziato tutto.
GE: Sei cresciuta
nella ex Jugoslavia. È stato difficile iniziare come chitarrista in
quell'ambiente?
AP: C'erano pochi posti a Belgrado dove si sentiva il blues,
e ovviamente non c'erano donne, così ho formato il gruppo Hush con i miei amici. Dopo poco stavamo suonando nei locali, guadagnammo
un po' di soldi e andammo in televisione nazionale diverse volte, la prima
volta che una band serba suonava in inglese.
Più tardi suonai come ospite con diversi artisti europei.
Avevo alcuni CD da vendere e andarono a ruba in pochi minuti, e pensai "Grande! Posso pagare l'affitto per i
prossimi mesi!'. Era un segno: ero sulla strada giusta.
GE: C'è stato un
momento nella tua vita in cui hai pensato 'posso arrivare alla cima'?
AP: Mi è successo a Belgrado quando ero con gli Hush. Ho
incontrato un ragazzo degli Stati Uniti, abbiamo avuto una riunione e
improvvisamente ha detto "il
pubblico ti amerebbe in America" - e questo è stato un fattore
scatenante per me, avevo 20 anni e ho pensato "è quello che farò".
Ero felice di fare qualcosa di unico e non solo di essere in
una band che facesse versioni di ciò che stessero facendo gli americani. Sono
una donna europea e un'artista blues moderna, e non voglio essere dimenticata.
Sono molto fortunata ad avere la mia carriera negli Stati Uniti, visto che qui
ci sono pochi artisti blues europei.
GE: Se dovessi
scegliere tre momenti salienti della tua carriera, quali sceglieresti?
AP: Sicuramente, la mia prima nomination per quello che ora
è chiamato American Blues Award. Sono diventata la prima artista europea ad
essere nominata. Penso di averne sei adesso, ma il primo è stato fantastico.
Mi è piaciuto far parte de The Hendrix Tribute Tour; quello
è stato un vero colpo. Ero l'unica artista femminile che suonava con Buddy Guy, Jonny Lang, Eric Johnson e
altri. Sono stata in quel tour per quattro anni di fila, il che è fantastico.
E trasferirmi negli Stati Uniti e firmare con Monterey International,
un altro grande momento della mia carriera.
GE: Passando ora alle
chitarre, qual è quella senza la quale non puoi vivere?
AP: La mia Fender Stratocaster del 64.
GE: Quando rubarono nel
tuo tour bus, perdesti la chitarra?
AP: No, per fortuna no. Non mi sono mai separata dalla mia
chitarra, è sempre con me.
GE: Deve essere stato
un momento terribile.
AP: Sì, è stato terribile, hanno cercato di portare via
tutto. Ma parlai con alcune persone fantastiche su Internet che mi hanno dato
sostegno e aiuto.
GE: Che consiglio
daresti ad aspiranti chitarristi?
AP: credi in te stesso e in ciò che pensi sia diverso. Magari
in questo momento non suona bene, ma se continui e alla gente piacerà,
diventerà il tuo stile personale.
GE: In passato hai
causato un po' di polemiche con alcuni "puristi del blues" posando
nuda per la cover dell'album “Unconditional” del 2012. Sei rimasta sorpresa
dalla reazione?
AP: No, no, non ero sorpresa. Le persone hanno diversi punti
di vista. Era una copertina molto audace e l’avevo decisa io. Sono molto
orgogliosa di questo. È una grande copertina. Una delle mie preferite di
sicuro.
GE: Sembra che tu
abbia più controllo in Unconditional rispetto ai tuoi album precedenti?
AP: Sì, quello è stato il momento in cui ho preso il
controllo della mia carriera: lo stile, le immagini, la produzione, il video, e
non me ne sono mai pentita. È un album fantastico.
GE: Sono uscite molte
storie di recente su donne che hanno subito molestie e sessismo nell'industria
cinematografica. Pensi che sia la stessa storia nella musica?
AP: ne sono sicura. Sono stata incredibilmente fortunata a
non essere una di quelle donne, ma sono sicura al 100% che stia accadendo. A
volte non mi hanno dimostrato rispetto come artista, il che non è molto
divertente, ma ho sempre lavorato e ho sempre stabilito le mie regole. Il mio
consiglio è quello di mantenere il controllo e tirar fuori le proprie idee.
La nostra intervista si conclude con Ana Popović che ci
racconta della tournée che farà in Belgio, Germania, Olanda e Francia. Una
rapida occhiata al suo sito web mostra molti altri concerti in programma negli
Stati Uniti, in Canada e in Francia nel 2018, ma dice che non vede l'ora di
lavorare al suo nuovo album. "Sto
per iniziare la pre-produzione per il mio prossimo album a Los Angeles, sto
lavorando con una persona che ammiro molto, ma non posso dire chi sia, perché
voglio che sia una sorpresa", conclude. "Penso che sarà molto emozionante".
(Immagini: © Jack Moutaillier, Mark Goodman, Ruben Tomas, Dinko Denovski, Cheryl Gorski, Marco Van Rooijen)